Solo qualche personale considerazione. Non credo che quanto segue sia particolarmente “spoileroso”, ma consiglio lo stesso a chi non l’abbia già fatto, di leggere prima il libro. E se compresibilmente non si è interessati al resto del post, continuo comunque a consigliare la lettura di
Quel che resta del giorno.
«Tu lasci che tutto questo accada davanti a te e non pensi mai di guardare per vedere di che cosa si tratta». Nel romanzo si incontrano alcune, poche frasi come questa che, benché chiaramente riferite ad un momento specifico della fabula, potrebbero essere citate quali identificative dell’opera stessa.
Mr Stevens si muove in un tempo che oggi appare lontano. É simbolo di una realtà antiquata, anzi è testimonianza del decadimento di una mentalità sorpassata, spesso mitizzata, prettamente inglese e, forse per questo, a noi non del tutto accessibile. Nonostante ciò, il nostro Mr Stevens vive un dramma moderno. Egli esperimenta la disperazione di chi lascia che la propria umanità sedimenti sotto strati di cose che dovrebbero avere soltanto un ruolo strumentale o di contorno nella vita di una persona e che, invece, finiscono per divenirne il fine ultimo e vano. Queste “cose” possono essere la volontà di un genitore, certi valori fuorvianti della società... in generale, i fatti della vita che prendono il sopravvento su di noi, mentre dovremmo essere noi, tutti in qualche misura dei “Mr Stevens”, a pilotare loro.
Il romanzo riesce ad analizzare una condizione triste, anzi crudele - come ha definito questa storia Rushdie - attraverso un esempio che, come dicevo, ci si presenta distante a tal punto che probabilmente stentiamo inizialmente a capire quale empatia potremmo mai sviluppare con esso. Ma a questo punto è necessario distinguere alcuni livelli in questa narrazione e mi piacerebbe soffermarmi su due, in particolare.
Una prima lettura del tutto soddisfacente può essere fatta concentrando l’attenzione sulla figura principale. Mr Stevens è personaggio che sicuramente può catalizzare il nostro interesse e che si sviluppa insieme al nostro modo di rapportarci con lui. Il maggiordomo tale si presenta e ci parla. Al principio, nel leggere i suoi pensieri ci sembra davvero d’essere al cospetto di un anacronismo vivente, una persona talmente in linea con un certo tipo di codice, da sembrare sola manfestazione di quello e, quindi, una non-persona. Ed infatti i modi eleganti con cui si rivolge al lettore (ci aspettiamo quasi che ci dia del “signore”) non impediscono ben presto di avere un quadro preciso di questo volontario annullamento della personalità che costringe Mr Stevens a dedicarsi in tutto e per tutto alla casa di “sua signoria” Lord Darlington. Niente opinioni personali, niente sentimenti, niente preferenze: Mr Stevens è solo lavoro e tensione verso un’ideale perfezione in esso. Alcuni potrebbero addirittura sviluppare una sorta di antipatia per questo essere che, nell’esposizione ed analisi maniacale dei particolari del suo lavoro, a tratti potrebbe apparire autocelebrativo, quasi narcisistico. E se volessimo proprio essere spietati con lui, potremmo pure chiederci perché una persona dovrebbe dedicare tanta energia cerebrale ad un’attività tutto sommato secondaria, agli occhi di molti del tutto accessoria. Continuando la lettura, però, le particolareggiate digressioni sulla professione del maggiordomo appaiono sempre più come delle giustificazioni, come se Mr Stevens, mentre ci parla, tentasse di rassicurare se stesso sulla giustezza delle scelte operate in passato. In effetti il tempo in cui è ambientato il romanzo coincide con l’unica occasione che egli abbia mai avuto per restare da solo coi suoi pensieri una durata sufficiente per poterne trarre qualche giovamento. A dire il vero, adesso che il resto ha allentato la presa su di lui, sembra più che quella umanità sepolta di cui dicevo all’inizio incominci ad emergere. Purtroppo per il nostro, salato è il conto che tutto in una volta si vede presentare.
Ishiguro, però, contemporaneamente fa viaggiare in parallelo un’altra storia, quella dell’Europa che abbiamo studiato a scuola e, in particolare, quella del suo Paese adottivo. I riferimenti a fatti storici sono numerosi e precisi. Per inciso, tranne i protagonisti, molte altre figure che appaiono nel romanzo appartengono a personaggi storici realmente esistiti, e non solo quelli della sfera politica (ad es. viene citato un famoso autore di
science-fiction: leggete il romanzo se siete curiosi di sapere chi è). Il dramma di Mr Stevens diventa il dramma dell’Inghilterra. Entrambi partono dagli stessi valori. Valori che sono da un lato ingenui e dall’altro superficiali. Così come Mr Stevens pensa di poter dare il suo contributo offrendo tutto se stesso ad uno che ha una certa influenza nella scena internazionale, così la nobiltà decadente inglese pensa di poter risolvere i problemi del mondo con delle strette di mani tra gentiluomini. Così come Mr Stevens si dedica per obblighi professionali solo alla letteratura leggera e col solo fine di migliorare il proprio inglese (ovvero un aspetto esteriore), così i Lord inglesi pensano che un ricevimento dato secondo le ferree regole dell’etichetta (massima espressione dell’apparire) possa da solo mettere d’accordo i più alti funzionari delle potenze mondiali. Così come Mr Stevens fa orecchie da mercante alle parole di quell’elemento nuovo, l’unico genuino, che è Miss Kenton (altro personaggio sul quale varrebbe la pena spendere più che qualche parola), così l’aristocrazia considera sfacciato e offensivo (perché pratico) e quindi non degno di considerazione l’americano, l’uomo nuovo della nuova politica. Ed anche qui, anche se le vicende appartengono all’epoca dei nostri nonni, l’Autore non manca di far accomodare tra le righe qualche velata (velata?) critica alla situazione odierna. E c’è spazio pure per la provocazione.
Ci sarebbe molto da argomentare. Per ora invece butto un occhio al
film di Ivory.
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